L’edizione dell’11 luglio 2020 di “The Economist” affronta la questione dei meccanismo di calcolo dei compensi degli Amministratori delle società.
“Troppo spesso i compensi dei dirigenti negli Stati Uniti sono notevolmente superiori alla performance: le carte contro gli investitori sono truccate”. È con queste parole che nel 2006 Warren Buffet, sfidò l’ormai consolidata visione delle società americane degli agli stipendi degli amministratori, che meriterebbero compensi sempre più alti quando le loro imprese hanno risultati positivi.
“Pagare per la performance” è stato il mantra delle imprese americane negli ultimi 10 anni: pagare compensi superiori ai candidati migliori.
Un recente report dell’Economic Policy Institute ha indagato quanto i dirigenti delle 350 compagnie più grandi sulla base dei ricavi abbiano effettivamente guadagnato, comprendendo la vendita delle loro azioni ed opzioni. Lawrence Mishel ha calcolato che dal 1978 al 2019 i guadagni realizzati sono aumentati di 13 volte, superando la crescita del mercato azionario.
Ancor prima della crisi del Covid-19 l’orientamento è però cambiato. Secondo recenti analisi sulle principali imprese Usa, 1 società su 10 ha ridotto lo stipendio degli amministratori. Tra questi ci sono compagnie aeree (come la United e la Delta), catene di Hotel (ad esempio la Marriott Wyndham) e conglomerati industriali (per esempio GE). Molte altre società pianificano di rivedere i budget dei compensi.
Bonus, piani di acquisto azioni ed opzioni legate alla performance che un ventennio fa costituivano una modesta parte delle retribuzioni costituiscono oggi l’elemento preponderante dei compensi degli organi esecutivi.
La misura favorita per valutare la performance è costituita dai redditi globali della società, combinando i movimenti dei prezzi azionari con i pagamenti dei dividendi. Il mercato rialzista delle azioni dopo lacrisi finanziaria globale del 2007-2009, arrestata solamente dalla pandemia COvid-19, ha portato in America i compensi degli amministratori alle stelle. Oggi l’S&P 500, indice della borsa americana, è tornato a posizionarsi dove si collocava prima di essere colpito dal Coronavirus, e i compensi potrebbero quindi continuare ad aumentare.
La questione è che spesso la remunerazione degli amministratori non si correla ad un effettivo loro merito nell’incremento dei risultati delle imprese. Un recente articolo al quale ha collaborato Lucas Davis della Haas School Business dimostra che i dirigenti delle compagnie energetiche godono di aumenti legati alle impennate dei prezzi del petrolio, circostanza sulla quale l’amministratore non ha alcuna influenza.
Il fenomeno di aumento dei compensi è inoltre legato alla frequente complessità degli schemi contributivi che i consulenti del lavoro vanno via via progettando, beninteso con la benedizione degli amministratori delle società per cui lavorano.
Un recente studio su 2.347 compagnie, condotto da Kevin Murphy della Marshall School of Business, ha mostrato come le imprese si avvalgano sempre più spesso di tali consulenti. Come evidenzia il ricercatore Nzima di Calpers: “tutti profilano i propri stipendi in modo che siano in linea o addirittura superiori alla media, in questo modo la media risulta però in continua crescita.”
Lo scorso anno, il Council of Institutional Investors, che rappresenta i grandi asset managers, ha promosso una semplificazione per le strutture preposte ai pagamenti. L’idea è quella di sostituire i comuni “schemi retributivi”, come quelli basati su una performance triennale, con modelli che riflettano rigorosamente un andamento quinquennale, opponendosi fortemente all’utilizzo degli standard di riferimento delle retribuzioni medie.
A maggio, Vanguard, grosso fondo comune americano, ha avvertito i consigli di amministrazione di non utilizzare la pandemia come una scusa per creare target di pagamento più favorevoli rispetto alle performance.
Incentivare meccanismi che rinviino il riconoscimento di premi nei compensi su basi a più lungo termine potrebbe però spingere gli amministratori a richiedere stipendi più alti per compensare la loro attesa.
Seppure esiste sicuramente una tensione nella scelta tra termini brevi e termini lunghi, la tendenza sembra quella di individuare metodi di calcolo più legati ai risultati pluriennali depurati dagli eventi sui quali i dirigenti non hanno possibilità di influenza.
Gli amministratori non possono prosperare a spese di altri e, forse, la pandemia può costituire un doveroso risveglio dei consigli di amministrazione.