Brexit: quando un accordo sembra impossibile
Il 23 giugno 2016, ormai quasi 3 anni fa, i cittadini del Regno Unito, con il 51,9% dei voti, hanno scelto la Brexit, cioè l’uscita dall’Unione Europea.
Questo evento ha segnato una svolta epocale all’interno dell’Unione, in quanto, per la prima volta, uno stato membro ha deciso di attivare l’art. 50 TUE.
L’art. 50 del Trattato sull’Unione Europea disciplina infatti il recesso dall’UE e prevede che tutti gli Stati membri possano recedere in conformità con le proprie norme costituzionali. In sintesi, lo stato membro intenzionato ad uscire dall’Unione deve darne notizia al Consiglio Europeo, avviando così una negoziazione volta a definire i termini del recesso conformemente all’art. 218, par. 3 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea.
Dal momento in cui l’art. 50 viene attivato, il limite di tempo per i negoziati è di 2 anni, a meno di concessioni di proroghe del Consiglio Europeo. Se, nonostante le proroghe concesse, le parti non riuscissero a raggiungere un accordo, lo Stato membro si troverebbe a lasciare l’Unione seguendo le regole del Diritto Internazionale (così detta hard Brexit, per le sue conseguenze devastanti sul mercato). Il recesso si conclude, infine, con una delibera del Consiglio Europeo, previa consultazione del Parlamento
A distanza di quasi un anno dal referendum sulla Brexit, il 29 marzo 2017 il Regno Unito notifica formalmente al Consiglio europeo l’intenzione di uscire dall’UE, con una lettera nella quale si fa riferimento ai principi di cooperazione e collaborazione, al fine di condurre al meglio i negoziati nell’interesse di entrambe le parti.
L’Unione Europea istituisce una Commissione ad hoc per la negoziazione e inizia così una fase di discussione tra le due parti che si rivelerà lunga ed estremamente faticosa: ad oggi, infatti, il termine dei due anni stabilito dall’art. 50 è stato ampiamente prorogato e, forse, un accordo sarà possibile solo per ottobre 2019.
Ma cosa ostacola davvero la Brexit? Il nodo cruciale, apparentemente irrisolvibile, sembra essere il confine con l’Irlanda del Nord.
L’accordo raggiunto tra Thersa May, primo ministro inglese, e l’Unione stabiliva infatti che, conseguentemente alla Brexit, nessun confine sarebbe dovuto intervenire tra Irlanda e Irlanda del Nord qualora Regno Unito e Ue avessero fallito nel trovare una partnership commerciale sul lungo periodo. Il Parlamento Inglese ha però bocciato l’accordo, di fatto, principalmente per due motivi fondamentali.
In primo luogo, la mancanza di un confine netto determinerebbe la permanenza del Regno Unito nel perimetro delle regole commerciali UE, cosa assolutamente non gradita ai più forti sostenitori della Brexit. In secondo luogo, sono in molti a sostenere che questo sia solo un primo passo per isolare l’Irlanda del Nord dal resto del Regno e arrivare così a rompere l’unità dello Stato, consegnando in questo modo l’intera Irlanda all’Unione Europea.
Impossibile dare una risposta certa su come finirà questa lunga Brexit, certo è che, qualora non si dovesse arrivare ad un’intesa tra le parti, le conseguenze di un divorzio senza accordo sarebbero davvero di difficile gestione.