Brexit: ora l’accordo sembra vicino
Brexit: ora l’accordo sembra vicino
L’espressione “Brexiting”, viene ormai utilizzata per definire una persona che, per esempio ad una festa, saluta tutti come per andarsene, ma poi rimane lì temporeggiando. Ed è esattamente questa la situazione in cui si trova il Regno Unito dopo che Inghilterra e Galles hanno votato a favore del leave al referendum del 2016.
In un precedente articolo (link) abbiamo già affrontato le modalità previste dall’art. 50 del TUE per attuare l’uscita di uno stato membro dall’UE, ma a quanto pare la pratica è molto più complessa della teoria.
Ci eravamo quindi lasciati al 3 maggio in una situazione di instabilità causata dalla nuova bocciatura da parte del Parlamento inglese dell’accordo raggiunto tra l’Unione e il primo ministro Theresa May, leader del partito dei conservatori. Il fatto che il Parlamento non riuscisse a raggiungere una maggioranza ha portato quindi ad una nuova svolta nello scenario Brexit.
Il 24 maggio 2019, infatti, Theresa May ha annunciato le proprie dimissione, rivolgendo successivamente un discorso dal forte impatto emotivo a tutta la popolazione inglese.
(Clicca qui per vedere il discorso)
L’uscita di scena della May ha permesso a Boris Johnson di subentrare, il 23 luglio 2019, come nuovo Primo Ministro. L’ex sindaco di Londra e attuale leader dei conservatori è stato infatti scelto dal proprio partito politico, che detiene la maggioranza in Parlamento, come nuovo primo ministro.
Forte sostenitore della Brexit, Johnson è un personaggio molto discusso anche in ambito internazionale, in quanto frequentemente tacciato di populismo e forte arroganza nei confronti degli altri leader politici.
Nel suo primo discorso come presidente, Johnson ha promesso alla popolazione di poter condurre il Regno Unito fuori dall’Unione entro il 31 ottobre (data ultima accordata per la Brexit) con o senza un accordo (avevamo già spiegato i possibili scenari del no deal nel precedente articolo).
Dopo circa un mese dalla sua nomina come primo ministro, il 28 agosto Johnson chiede ed ottiene dalla Regina una sospensione del Parlamento dal 9 settembre fino al 14 ottobre. La sospensione dei lavori del Parlamento è una pratica utilizzata spesso nel Regno Unito per permettere la preparazione dei lavori parlamentari tra una sessione e l’altra.
La richiesta di Johnson ha però generato forti critiche da parte dell’opposizione politica e di molti commentatori. I motivi sono diversi: in primo luogo il Regno Unito non aveva mai assistito ad una sospensione così lunga, soprattutto in un momento così delicato come la Brexit. In secondo luogo, sembra che la sospensione sia stata architettata ad hoc al fine di privare il Parlamento del tempo necessario per discutere, su un eventuale accordo o sul no deal, prima del 31 ottobre.
In realtà Johnson, dopo svariate minacce di un no deal, è riuscito a concludere un accordo con Bruxelles. L’evento rappresenta una grande svolta all’interno del processo Brexit, ma, è bene ricordarlo, non è ancora la conclusione definitiva. Domani (sabato 19 ottobre) Johnson dovrà presentarsi davanti al suo parlamento per chiedere l’approvazione definitiva e concludere in modo ufficiale l’accordo con l’Unione. Vi aspettiamo quindi per i nuovi aggiornamenti sugli ultimi risvolti e per un’analisi accurata dell’accordo raggiunto.